IL CAITPR, LA SUA STORIA
La storia della razza CAITPR inizia ufficialmente nel 1927 con la nascita della prima generazione di puledri delle "Stazioni di fecondazione selezionate" istituite per Legge nel 1926.
In realtà l’origine di questo ceppo equino risale ai decenni precedenti. Infatti, l’Italia non ha mai storicamente annoverato nel suo patrimonio equino alcuna razza da tiro pesante. Tuttavia, dopo l’unità (1860), lo sviluppo in senso sempre più imprenditoriale dell’agricoltura della pianura padana e le esigenze dell’Esercito, con particolare riferimento all’artiglieria, rendevano sempre più evidente la necessità di una consistente e qualificata produzione nazionale di cavalli da tiro. Dopo numerose prove d’incrocio della popolazione di fattrici della pianura padana con le più rinomate razze da tiro europee, le aziende della pianura orientale, che ricadevano sotto la giurisdizione del Deposito Stalloni di Ferrara (diretta emanazione operativa del Ministero della Guerra), si orientarono con decisione verso gli stalloni bretoni di tipo Norfolk-bretone. Le prime importazioni di tali stalloni, sollecitate in modo particolare da alcuni allevatori del veronese, ebbero luogo nel 1911 e proseguirono sempre più diffusamente sino alla metà degli anni ‘20 malgrado le difficoltà ed il rallentamento imposto dalla 1^ Guerra Mondiale. Questi riproduttori operarono su fattrici di diversa origine tra le quali spiccavano le derivazioni Hackney, ma non erano infrequenti origini Percheron, Bretoni o Belghe/Ardennesi.
I risultati furono considerati molto positivi, in quanto l’incrocio dava origine a soggetti robusti di mole medio-pesante e dotati anche di brillantezza di movimenti e di eleganza che risultavano particolarmente idonei agli scopi dell’artiglieria da campagna, ma anche per i trasporti medio pesanti civili e per i lavori agricoli complementari nelle grandi aziende (fienagione, semine, erpicature ecc..). Nel 1926 iniziarono ad operare le “stazioni selezionate” individuando i gruppi di fattrici che andarono a costituire la base materna originaria della razza; nel 1927 nacque la prima generazione ufficialmente controllata e prese avvio la costituzione delle famiglie italiane del tipo “agricolo/artigliere“(altrimenti inizialmente denominato “derivato bretone”). Il bacino geografico di produzione era rappresentato dalla pianura veneta, dalla provincia di Ferrara e dalla pianura friulana.
Sin dalle prime generazioni, oltre alle giovani femmine, vennero scelti dei giovani maschi che andarono progressivamente ad affiancare i loro genitori bretoni. Si provvide inoltre ad istituire dei concorsi morfologici, prevalentemente dedicati ai giovani maschi ma a cui aderivano numerosi allevatori presentando anche le loro giovani fattrici e puledre; tra questi concorsi iniziò ad affermarsi quello di Verona che ebbe il suo inizio nel 1934. Furono inoltre realizzate prove funzionali per i giovani stalloni di 3 e 4 anni che prevedevano l’effettuazione di determinati percorsi con carico prestabilito ed entro tempi massimi ben precisi da percorrere al passo o al trotto.
Tutto ciò testimonia dell’interesse che si andava concretizzando verso questo nuovo (per l’Italia) tipo di produzione ippica e del buon successo che esso aveva incontrato. Infatti, le fattrici iscritte alle stazioni selezionate crebbero progressivamente dalle circa 50 iniziali sino a toccare le 250 unità alla fine degli anni ‘30. Ogni anno la razza dava origine a circa 50 giovani stalloni di cui, una parte veniva reimpiegata dal Deposito di Ferrara per la produzione selezionata, mentre la maggior parte veniva acquistata da stallonieri privati della zona d’origine o veniva destinato alle zone gestite da altri Depositi Stalloni. Infatti, già dalla metà degli anni ‘30 si iniziò a registrare l’acquisto di giovani stalloni “derivati bretoni” da parte del Deposito Stalloni di Crema (Italia nord occidentale), di Reggio Emilia (Emilia Romagna e Marche) e di Pisa (Italia Centrale). La 2^ Guerra Mondiale portò ad un arresto di questo processo evolutivo che però, pur tra tante difficoltà, riprese nell’immediato dopoguerra. Malgrado il venir meno dell’interesse militare, l’agricoltura (e specialmente le aziende di medio-piccole dimensioni) era ancora interessata alla trazione animale per i trasporti aziendali ed ai lavori complementari con cui integrare e affiancare le macchine che andavano, peraltro, sempre più diffondendosi. Gli anni ‘50 furono così un periodo di forte ripresa d’interesse per il CAITPR e di diffusione di riproduttori maschi in aree sempre più vaste e diversificate che coinvolgevano, oltre alla zona storica, la Lombardia, l’Emilia Romagna, l’Italia Centrale, ma anche l’Abruzzo, la Puglia e la Sardegna.
Come si è rilevato, finalmente si è denominata la razza con il suo nome attuale (Cavallo Agricolo Italiano da Tiro Pesante Rapido - CAITPR) perchè è del periodo fine anni ‘40 inizio anni ‘50 l’ufficializzazione di questa denominazione che sanciva per questo tipo di produzione equina l’acquisizione ed il riconoscimento dello standard di razza autonoma. Sul finire degli anni ‘50 venne inoltre istituito il Libro Genealogico che andava a sostituire il precedente controllo selettivo della produzione attivato dal 1927.
Dopo il periodo di espansione degli anni ‘50, il successivo decennio segnò l’inizio di una forte crisi per la razza che si protrasse sino alla fine degli anni ‘70. Molti allevatori storici, specialmente i più grandi, cessarono l’attività non trovando ormai più motivo economico nell’allevamento equino in un contesto aziendale sempre più proteso alla meccanizzazione ed alla specializzazione produttiva. Tuttavia, un buon nucleo di soggetti continuò ad essere allevato nelle piccole aziende famigliari che sostituirono progressivamente i grandi nuclei; inoltre, l’interesse per la razza nel centro-sud Italia andava man mano confermandosi. Ciò permise di evitare al CAITPR il triste destino cui andò incontro il derivato belga-ardennese che, in Italia, sparì come realtà organica di allevamento e di selezione.
Tuttavia, va rilevato che lo scopo economico della razza andava mutando, trasferendo l’interesse degli allevatori dall’impiego per il lavoro alla produzione della carne. Al di là di ogni opinione circa l’ippofagia e la destinazione della specie equina per la produzione della carne, il fatto che l’Italia sia un paese a consolidata tradizione ippofaga (almeno in alcune sue zone) ha garantito la sopravvivenza del CAITPR e di altro razze non sportive. E’ questo un fatto incontestabile come dimostra invece la fortissima riduzione cui sono andate incontro negli ultimi decenni molte razze da tiro allevate in paesi non ippofagi.
Alla fine degli anni ‘70 la gestione del LG passò dall’Istituto d’Incremento Ippico di Ferrara (ex Deposito Stalloni militare) all’Associazione Nazionale Allevatori del Cavallo Agricolo Italiano da TPR che lo gestisce tuttora su delega e sotto il controllo del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali. Questo passaggio, sancito dalle nuove normative in merito ai Libri Genealogici delle specie zootecniche, consentì un fatto importante, in quanto l’Associazione, per il tramite dei suoi Soci -le Associazioni Provinciali Allevatori- poteva operare su tutto il territorio nazionale. Ciò permise di allargare il controllo selettivo al di fuori della zona storica. Infatti, grazie al continuo flusso di riproduttori che sin dagli anni ‘30 uscivano dal bacino storico per andare ad operare in incrocio su popolazioni locali di molte altre aree del territorio italiano, si era ormai venuta costituendo una base di popolazione CAITPR che venne, man mano, assorbita dal LG. I precursori in questo senso furono gli allevatori pugliesi che iniziarono la loro attività ufficiale di selezione già sul finire degli anni ‘70.
Questo processo di affiancamento tra nuovi allevatori dell’Italia centro-meridionale e allevatori dell’area storica prese inizio nei primi anni ‘80 ed è proseguito sino ad oggi ed ha permesso quell’allargamento della base selettiva su cui si fonda attualmente il LG.
Situazione attuale e prospettive
Attualmente il CAITPR può vantare oltre 6.500 capi iscritti, di cui circa 3000 fattrici, presenti in circa 900 allevamenti distribuiti in 16 diverse Regioni. Le zone con maggior presenza sono il Veneto, l’Emilia Romagna, l’Umbria, il Lazio, l’Abruzzo e la Puglia; discrete presenze si hanno anche in Friuli, nelle Marche, in Toscana, in Molise e in Campania. Allevamenti più isolati ma molto attivi dal punto di vista selettivo sono infine ubicati in Piemonte, Lombardia, Trentino e Basilicata.
Il CAITPR può quindi vantare una realtà ormai ampia e diffusa pressochè in tutto il territorio nazionale. Inoltre, va sottolineato il buon esito del processo di adattamento che la razza ha subito negli ultimi decenni, passando da una forma d’allevamento stallino, tipica della zona storica, al semi-brado o al brado integrale che sono le forme d’allevamento più diffuse della dorsale appenninica. L’attuale obbiettivo di selezione prevede la produzione di soggetti con peso vivo compreso tra 700 e 900 Kg caratterizzati da equilibrio tra diametri trasversi, masse muscolare, sviluppo e distinzione, brillantezza di movimenti e correttezza; la statura orientativa per gli stalloni adulti è compresa tra 155 e 160 cm mentre le femmine è di 150-158 cm.
Si tratta quindi di soggetti di mole medio-pesante che abbinano alle caratteristiche tipicamente dimensionali delle razze da tiro (diametri, sviluppo, profondità) anche quelle doti di finezza e di correttezza necessarie a garantire alla razza una polivalenza attitudinale. Infatti, se gli anni ‘70 e ‘80 avevano visto il CAITPR nel ruolo di razza pressochè totalmente vocata alla produzione della carne, gli anni ‘90 hanno segnato un’importante evoluzione con il ritorno d’interesse per gli attacchi amatoriali, per l’impiego in attività di turismo ambientale (visite con carri in parchi e riserve che si stanno diffondendo anche in Italia) e, infine, nel lavoro agricolo, specialmente in aziende del circuito biologico o biodinamico, o nel lavoro boschivo in particolare nelle aree a più delicato equilibrio ambientale. La domanda per questo tipo di iniziative è ancora limitata ma va innegabilmente crescendo di anno in anno.
Oltre ai diversi sbocchi attitudinali la selezione opera per mantenere anche la capacità d’adattamento della razza a diverse tipologie d’allevamento (dallo stallino al brado) sempre comunque assicurando il minimo impatto ambientale; del resto, questa particolare propensione è stata l’elemento principale che ha consentito la diffusione e la presenza del CAITPR a livello nazionale. L’insieme di queste caratteristiche morfologiche e di adattamento sono gli elementi principali per garantire un futuro ad una razza che va sempre più configurandosi come uno strumento per lo sfruttamento sostenibile delle risorse agricole e per la salvaguardia ambientale con minimo impatto per i delicati equilibri specialmente di molte aree collinari e montane. Del resto, anche in ambienti ad agricoltura intensiva, la presenza di un’attività zootecnica che richieda ridotti investimenti e una modesta riorganizzazione aziendale, è una via per assicurare un minor impatto ambientale, in quanto comporta l’inserimento di superfici a foraggio negli ordinamenti aziendali e la disponibilità di concimi organici con i quali sostituire almeno in parte l’apporto di fertilizzanti chimici.
Il CAITPR diviene in questo modo una delle componenti che possono entrare a pieno titolo nelle politiche agro-ambientali Nazionali e Comunitarie orientate a ridurre gli impatti ambientali incentivando attività agricolo-zootecniche sostenibili ed eco-compatibili e stimolando contemporaneamente lo sviluppo di opportunità di reddito alternative ed integrative per l’agricoltore.
Molte Amministrazioni Pubbliche italiane (ci riferiamo specialmente alle Regioni) hanno colto queste opportunità riservando attenzione al CAITPR ed ai suoi allevatori. L’auspicio è che ciò trovi ulteriore sviluppo garantendo alla razza un sicuro futuro.
Il testo é stato interamente tratto dal sito anacaitpr.it